Ma… gli aerei hanno il tubo di scappamento? Sì, ma quello delle auto non c’entra. Cos’è e a cosa serve
Guardando la ‘coda’ di molti velivoli commerciali, si può notare la presenza di un tubo che fuoriesce dalla fusoliera. La […]
Guardando la ‘coda’ di molti velivoli commerciali, si può notare la presenza di un tubo che fuoriesce dalla fusoliera. La cosa vale per aeroplani di modeste dimensioni, come ad esempio gli Airbus A220, come per il re di tutti i velivoli da trasporto passeggeri: l’Airbus A380. E, ovviamente, anche per i Boeing, 747 incluso.
In questo articolo:
Può essere che qualcuno si sia chiesto: ‘ma anche gli aerei hanno il tubo di scappamento come le auto?“. No. O, meglio, sì. Ma quel ‘tubo’ non è, ovviamente, lo scarico dei motori che spingono i jet. Bensì lo scarico di un’apparecchiatura nota come APU (Auxiliary Power Unit, Unità di Potenza Ausiliaria).
Il primo modello di aereo passeggeri a montarla di serie fu il Boeing 727, nel 1963. La sua funzione, a quei tempi, era, se vogliamo, ancor più ‘vitale’ di quanto lo sia oggi. La maggior parte degli aeroporti, infatti, era sprovvista di apparecchiature in grado di fornire elettricità agli aerei durante le loro soste a terra. In molti casi mancavano anche i generatori.
E l’APU venne introdotta proprio per garantire autonomia all’aeroplano anche durante i ‘turnaround’ tra un volo e l’altro, in modo che a bordo ci fossero luce e riscaldamento e che i sistemi di bordo, inclusi quelli pneumatici che controllavano le superfici di volo, fossero attivi anche con i motori spenti.
Da allora, tutti gli aerei passeggeri montano un’APU, che solitamente è alloggiata nella parte posteriore della fusoliera, tra i due impennaggi orizzontali (alettoni) e quello verticale (coda). Alimentata con combustibile A1 (lo stesso dei motori), necessita di un sistema di emissione dei gas di scarico, che è appunto il ‘tubo di scappamento’ che notiamo nel retro di tantissimi velivoli.
Talvolta, come nel caso degli MD-80 che erano in attività fino a pochi anni fa, o dei Boeing 717, il ‘tubo’ non c’è. Ma ci sono delle griglie o dei semplici ‘fori’ nella parte terminale della fusoliera (come sul Boeing 777) che fungono da scarico dei gas emessi dall’APU.
Al giorno d’oggi, la gran parte dei principali aeroporti ha sistemi di alimentazione elettrica che corrono sotto i piazzali e hanno terminali presso le piazzuole di sosta degli aerei, sia che queste siano collegate al terminal coi jet bridges, sia che siano remote. Quando un aereo parcheggia e spegne i motori, viene collegato a questi terminali, che gli forniscono energia senza bisogno di attivare l’APU o un generatore, e quindi azzerando le emissioni a terra dei velivoli.
C’è tuttavia un’ulteriore funzione dell’Auxiliary Power Unit che ne richiede sempre la messa in moto: l’accensione dei motori veri e propri. I propulsori possono essere accesi dai piloti solo quando la rotazione delle loro pale abbia determinato all’interno della turbina una compressione sufficiente ad ‘accendere’ il carburante che vi viene fatto affluire. Quella pressione si determina quando le pale dei motori girano almeno al 20-30% della loro velocità massima.
Ma i motori di oggi sono talmente grandi e pesanti che nessun motore elettrico è potente abbastanza. Ecco allora che l’APU, a sua volta innescata da un piccolo motore elettrico, fornisce l’energia sufficiente a far ruotare le pale dei turbofan odierni a una velocità sufficiente a determinare nella turbina una pressione adeguata alla combustione del cherosene.
L’APU viene successivamente disattivata, ma deve poter essere riaccesa anche a quota di crociera sui velivoli ETOPs, ossia i bimotori operativi sulle tratte di lungo raggio (come i Dreamliner, i B777 e gli A330 che vanno oggi per la maggiore), nel caso uno dei due motori abbia un’avaria e debba essere spento, per garantire sufficiente ‘potenza’ agli impianti di bordo.
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